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Fortezza e mura

Foto di: Silvio Arca

La fortezza

Testo di Maria Teresa Corso.

La cittadina di Marano sorge nel luogo di un’antica fortezza, baluardo dapprima del Patriarcato di Aquileia e poi per molti secoli soggetta a Venezia. Il centro storico ne conserva memoria nel suo impianto urbanistico che, nella struttura portante, è rimasto identico.

Data l’importanza del luogo, di mezzo miglio di circuito (pari a 620 passi circa), con terrapieni e fossa in cui entravano le galee, la fortezza e il suo porto proteggevano la terraferma da incursioni marittime.

Venezia tentò più volte di conquistarla, incendiandola più volte. La parentesi patriarcale fu per la Comunità alquanto movimentata, ma i tempi erano a favore della Repubblica che nel 1420 ottenne dalla Comunità dedizione e alleanza, come tutte le città e porti della costa conquistati, oltre al Friuli.

La fortezza comprendeva i seguenti edifici:

  • baluardi (di S.Antonio o del Moro, unico ancora visibile);
  • torri (della Cicocca o Corpo di Guardia);
  • bastioni o torrioni tondi o mezzelune (San Zuanne, San Marco, Bastioncino);
  • porta (de Mar, de Tera, dell’Orro, cioè margine);
  • cavalieri
  • cortine
  • caselli e restelli.

Nel periodo patriarcale (XI-XV secolo) la Comunità era presente anche nel Parlamento della Patria del Friuli. Come Comunità, Marano partecipava assieme alle altre classi dei nobili, clero e comunità, con i suoi rappresentanti alle decisioni assembleari che riguardavano la difesa della Patria, nei casi di guerra o come l’invio di talee militari in Friuli.

In epoca medievale a Marano, oltre a parlare friulano, si utilizzava il diritto emanato dalle Costituzioni della Patria del Friuli del 1365.

Si ritiene che lo Statuto della Comunità di Marano, di data incerta, fosse stato redatto e sviluppato proprio sulla base delle regole delle Costituzioni della Patria.

La Repubblica Veneta conquistò anno dopo anno tutte le città e le terre della costa adriatica. Marano, per evitare le violenze dell’esercito veneto, nel 1420, sottoscrivendo il noto atto di dedizione, si alleò alla Repubblica. I veneziani, giunti in fortezza, inviarono un rettore o provveditore con il compito di amministrare militarmente la fortezza e ogni aspetto civile e giudiziario, mantenendo le regole vigenti, ossia quelle relative alle Costituzioni della Patria del Friuli.

Il provveditore veniva incaricato della gestione amministrativa e militare per 16 o 18 mesi. Aveva come sottoposti un vicario, che lo poteva sostituire anche nelle sentenze e che doveva conoscere utroque iure (diritto civile ed ecclesiastico), un cancelliere, assimilabile a un notaio, spesso laureato in legge, un cavaliere con la funzione di controllo di polizia, che utilizzava per svolgere il compito due officiali, i noti bravi o birri di manzoniana memoria. Questa piccola ‘corte’ veniva incaricata direttamente da Venezia, infatti giungevano in fortezza un governatore, responsabile di 50 fanti una parte dei quali veniva locata nelle case dei privati, due capitani, responsabili ciascuno di 25 fanti, e un capo bombardiere, con la funzione di responsabile delle polveri e delle armi presenti un fortezza.

Nel periodo della dominazione asburgica (1513-1542) Marano ebbe giurisdizione feudale su diverse ville imperiali situate nel contesto veneto: Campomolle di Teor, la gastaldia di Chiarisacco, Gonars, San Gervasio, Castel Porpetto, Rivarotta presso Palazzolo dello Stella.

Statua di Pietro Bernardo Bembo (1680) sull’edificio storico della Gran Guardia, due pennoni su paracarri seicenteschi e la torre con busti ed epigrafi

Casa detta Ala della Gran Guardia o Corpo di Guardia della Piazza

Era l’edificio posto a guardia della piazza. All’esterno, la facciata contiene in una nicchia la statua in pietra del Provveditore Pietro Bernardo Bembo, popolarmente detto Piero Bimbi. All’interno dell’edificio si può notare lo stemma araldico in pietra di Andrea Contarini. Nei secoli XV-XVIII l’edificio ospitava il Corpo di Guardia, composto da una compagnia di 50 fanti militari, a salvaguardia della piazzaforte.

Cicocca o Corpo di Guardia de Mar

L’edificio a guardia della fortezza dalla parte del mare ospitava 25 fanti e si trovava nell’odierno fabbricato oggi Porta de Mar.
Nel 1613 il Provveditore Francesco Loredan così relazionava al Senato veneto: “Fatto piantare due pallificate, l’una nel fianco della Cicocha che guarda verso il torrione Sant’Antonio di passa 16 e l’altra sotto ad esso torrione di passa 20, discoste l’una dall’altra passa cento e trenta”.

Casa delle Ragioni o Loggia

L’antica loggia o Palazzo della Comunità, oggi di proprietà privata, è simile per forma architettonica alle altre logge presenti ad esempio a Padova, a Muggia, a Udine. Posta a contatto con la Torre, nel lato Nord, al pianterreno sono rimaste le arcate in pietra a sesto acuto, da cui si accedeva all’ampio salone al piano primo. Sulla facciata lato Via Sinodo vi erano gli stipiti, bifore, colonnine e archivolti dei finestroni, che davano luce al salone, dove dipinse nel 1421 il Domenico Baietti da Udine.

1902. Marano ex Villa De Asarta. Si notino le bifore alle finestre: facciata verso Nord.

Le bifore che agli inizi del Novecento vennero usate per abbellire una casa privata (Villa de Asarta) ornavano con buona probabilità la facciata della loggia.

Lo storico locale Tarcisio Dal Forno fornisce la seguente descrizione del salone del Palazzo della Comunità: “Si notava il soffitto sostenuto con travi scoperte, appoggiate simmetricamente ai lati dei muri, su barbacani di pietra, mentre il pavimento è di rovere a forma di spina di pesce, le pareti qua e là affrescate, tra cui vi notiamo lo stemma del comune consistente in una grossa quercia sotto la quale un cinghiale si pasce di ghiande. In fianco un’aquila ad ali spiegate con sfondo dello scudo blu mare”.

Nel Palazzo della Comunità si trattavano tutti gli atti del governo della fortezza. Nel salone, dove si riuniva il Consiglio della Magnifica Comunità, si trovavano banchi in legno, mentre al pianoterra, circondato da cancellate in ferro battuto, si tenevano le riunioni aperte al pubblico, cioè le aste per le valli da pesca, il tòco o sorteggio stagionale delle seraie di pesca, gli appalti del fontico, cioè del luogo dove venivano gestite e commercializzate le derrate alimentari – quali olio e farine – necessarie per la vita in fortezza.

Le mura storiche

Testo di Maria Teresa Corso.

In questo ultimo trentennio l’antica dedizione alla Serenissima, riportata nello Statuto, viene letta alla Comunità dal primo cittadino il primo giorno dell’anno. Essa riporta alcuni dati relativi alle mura: ci testimonia come un pescatore, volendo farsi una barca nuova, fosse obbligato a recarsi in Istria a sue spese per portare in fortezza un carico di pietre per rinforzare le mura.

Si è sempre discusso sul fatto che lo Statuto non portasse una data precisa: per alcuni studiosi lo si può far risalire al XV secolo secondo un’analisi linguistica, mentre l’anno 1623 citato nel testo riguarda qualche aggiunta.

È consolidato il detto che le mure le ze nostre, modo di dire che riprende una vecchia canzone maranese. In realtà il materiale delle mura era stato acquistato da un impresario edile, il signor Carandon, già sindaco del comune di Muzzana del Turgnano, che risultava proprietario di altri mappali in fortezza.

Una volta stabilito il prezzo per l’acquisto del materiale (pietre d’Istria), il signor Carandon cedette le mura al Comune con atto notarile. Ma le pietre delle mura erano ‘sentite’ dai locali come ‘nostre’, da lì nacque la canzone a fine Ottocento: “… Le mure le ze nostre e no de Carandon, sior Pimico de note, ze ‘ndò in tombolòn …”.

Il Comune, nel 1894, attraverso una serie di atti e delibere e passaggi di commissari governativi esterni, sentì la necessità di abbattere le mura, alla stregua di tante altre amministrazioni che di quel periodo recepirono tale politica a livello europeo, sostenute dalla scoperta che le malattie endemiche ed epidemiche si combattessero con l’arieggiare gli ambienti.

Baluardo di Sant’Antonio

Il baluardo è ancora oggi visibile lungo il Canale del Molino: è inglobato nella proprietà dello stabilimento Igino Mazzola Spa, che ne ha ricavato alcuni reparti per la salagione del tonno. Prendeva il nome dalla chiesa dedicata a Sant’Antonio, scomparsa nel XVIII secolo.

Oggi l’attività della fabbrica Mazzola è chiusa. Alcune nuove proposte progettuali mirano a un recupero del fabbricato per un complesso ad uso residenziale, che tenga conto anche degli antichi reperti, quali i resti di due antiche chiese inglobate – l’una di S. Antonio e l’altra di S. Pietro con relativi cimiteri –, un pozzo cisterna cinquecentesco che si trovava all’interno della braida Palazzo Zapoga, nel lato sud della fabbrica, lo scudo araldico in pietra del Provveditore Pietro Memmo (1571) collocato sulla facciata esterna delle mura e il casello della polvere a base esagonale, costruito nel 1610 dal Provveditore Giuseppe Michiel.

Bastione di San Marco

Anno 1561, 27 Aprile. Relazione del Provveditore Marco Longo: “…Ho anco per debita esecution comprato molte barche di piera massegna per assai buona suma de materiale de calcine per far fonder il bastione di San Marco, una volta tanto”.

Nel 1594 vi era ancora il problema di cavar terreno dalla fossa col il quale poi si sarebbe riempito il bastione ovvero Mezzaluna di San Marco.

Questo bastione, scriveva Tarcisio Dal Forno negli anni Cinquanta, “..trovasi ove ora è la canonica, ex Villa de Asarta che comprendeva le abitazioni della farmacia ex casa del defunto dott. Bianchi e vicinanti…”.

Nel 1971 la villa de Asarta venne abbattuta per far posto all’attuale edificio della scuola materna.

Mappa catastale. Si noti il bastione arrotondato e la villa de Asarta costruita sopra.La villa de Asarta nel 1898 venne costruita sul Bastione di San Marco, di cui si vedono le fondamenta. Si notino le Le bifore inserite alle finestre appartenevano alla Loggia pubblica cinquecentesca.

Bastione di San Giovanni

Il bastione tondeggiante sorgeva a nord del paese, sotto le fondamenta dell’attuale casa Z.G. Esso fronteggiava, assieme al bastione San Marco il fortino Maranuzzo notoriamente posseduto dagli Arciducali, verso i quali si doveva opporre una forte resistenza e che bisognava tenere sotto stretta sorveglianza.

Il bastione prendeva il nome dalla chiesa di San Giovanni dei Battuti che era posta nelle vicinanze.

Bastioncino

Sorgeva fra il bastione di San Marco e il baluardo di Sant’Antonio. Aveva la funzione di difendere quel lato di mura che si affacciavano verso l’isola di San Pietro, luogo che per alcuni decenni, fu conteso dagli Arciducali, cioè dal vicino paese di Carlino.